
Per il 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, pubblichiamo la lettera che tre studentesse del Corso di laurea in Giurisprudenza hanno deciso di condividere con i loro compagni e compagne.
Una lettera piena di indignazione ma anche di solidarietà e consapevolezza di fronte al dolore, alla rabbia e allo sgomento per la tragica fine di Giulia Cecchettin, sull'onda del messaggio social "Lo sapevamo tutte".
Con il pieno sostegno del Magnifico Rettore Angelo Tagliabue e della delegata per l'Uguaglianza di genere e le pari opportunità Barbara Pozzo, diffondiamo questa lettera e invitiamo tutti e tutte a fermarsi a leggerla, chiedendo di riflettere su quanto sia importante combattere insieme contro ogni forma di violenza.
Ciao ragazzi,
premetto che questo è un pensiero che ritenevo personalmente giusto da condividere e che ho esposto ad alcune compagne che hanno appoggiato questa riflessione inerente a quel che è successo ieri a Giulia Cecchettin.
Vorrei in secondo luogo invitare chiunque per qualsiasi ragione non si senta interessato, toccato o magari al contrario troppo toccato a fermarsi qui nel leggere.
Non voglio minimamente urtare la sensibilità di nessuno ne accusare o creare polemiche, ma uno spazio “protetto” per condividere, per chi si sente, pensieri o qualsiasi cosa.
Quello che è successo ieri, nonostante fino ad ora quest’anno sia successo innumerevoli volte, mi ha scosso particolarmente e sento il dovere morale di parlarne.
Quella ragazza, ragazze, potevo essere io, potevi essere tu, poteva essere nostra mamma o nostra sorella; poteva essere ognuna di noi e vorrei che nessuna di noi avesse il pensiero del “ah ma se l’è cercata perché è uscita con l’ex e sapeva com’era” perché purtroppo, in fin dei conti, TUTTE noi ci potremmo cascare.
A voi ragazzi vorrei dire che dovreste essere ancora più amareggiati di noi, perché molti di voi han pensato “ecco, io non son così e per quel che fan gli altri automaticamente veniamo additati e incolpati tutti noi”.
Questa non è una battaglia solo di noi donne, ma anche vostra, è una battaglia di tutti noi, in quanto persone e in quanto società, futuri adulti.
Ora, so che il mio e quello di chi vorrà appoggiare questa riflessione possa essere interpretato come un femminismo da salotto, che la differenza non si fa con un messaggio o con un post su Instagram, e sono completamente d’accordo, però credo che da qualche parte si debba pur cominciare e parlarne penso possa essere una buona base.
Può essere ritenuto banale e spero che a qualcuno venga anche un’idea migliore, ma pensavo che da domani, e per chi non c’è nei giorni seguenti, ognuno di noi, ragazzi/e/ə potrebbe portare una frase, una foto, un pensiero, una poesia o un post che rappresenti quel che sta succedendo e quello che sentiamo.
So che il 25 sarà la giornata contro la violenza sulle donne e che sicuramente l’ateneo proporrà attività, detto questo, mi pare ancora più assurdo avere un giorno “comandato”, dover aspettare che ci venga dato il permesso per protestare o per poter dire la nostra; quindi, se qualcuno si sente di condividere qualsiasi cosa vorrei e spero ci si possa sentire liberi di farlo.
Ovviamente la clausola rimane sempre il rispetto del prossimo, niente commenti o frasi offensive, nei confronti di nessuno poiché in tal caso ci faremmo un torto da soli e insulteremmo la nostra stessa intelligenza.
Sicura e confidente nella vostra comprensione spero comprendiate quello che sto cercando di dire, e se d’accordo, sarebbe bello passare questo messaggio a tutti i gruppi universitari così da essere il numero maggiore possibile.
Non farà la differenza un foglio appeso da ciascuno in università, ma la sensibilizzazione, spontanea e libera, mi sembra il minimo in un contesto educativo e formativo quale l’università.
Grazie a chiunque abbia deciso di arrivare infondo a questo messaggio.
Un ultimo fatto su cui vorrei invitarvi a riflettere è che io, in primis, mi sto sentendo imbarazzata, stupida e un po’ a disagio nel mandarvi questo messaggio; credo però che questa mia sensazione non sia dovuta a un problema di come sono fatta io, bensì al fatto che di solito quando le donne richiamano l’attenzione su questo problema vengono additate come “nazifemministe”, “esagerate”, “bambine capricciose” o “radical chic che vogliono fare le alternative”. Detto questo, lascio a voi decidere come leggere e interpretare le mie parole.
Spero che qualcuno abbia qualche idea o pensiero più costruttivo da condividere.
Vi ringrazio nuovamente.
Elisa, Francesca e Francesca, tre ragazze che vorrebbero avere la possibilità di laurearsi, quella che a Giulia non è stata data.