Come si comportano le piante aliene invasive? Bruno Cerabolini tra gli autori di uno studio su Pnas

10 Giugno 2021
Bruno Cerabolini

Le piante aliene invasive sono l’argomento di un articolo scientifico pubblicato sulla prestigiosa rivista Pnas, Proceedings of the national academy of sciences of the United States of America, tra i cui autori c’è Bruno Cerabolini del Dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita dell’Università dell’Insubria.

«Dimensions of invasiveness:l links between local abundance, geographic range size, and habitat breadth in Europe’s alien and native floras» – questo il titolo della pubblicazione – è il risultato di uno studio condotto da un team internazionale di scienziati guidato da biologi dell’Università di Costanza e coordinato da Mark van Kleunen, con il contributo dell’ateneo di Varese e Como, che ha fornito dati sulle caratteristiche biologiche di specie aliene e native.

Il modello proposto spiega la distribuzione delle piante aliene in Europa paragonandola a quella delle specie native, con l’obiettivo finale di migliorare la comprensione generale di come le specie vegetali - invasive e autoctone - si distribuiscono e possono aiutare a prevedere e gestire al meglio le future invasioni di piante.

Le piante aliene invasive sono specie vegetali che crescono al di fuori della loro distribuzione geografica e del loro habitat naturali: se stabiliscono con successo popolazioni autosufficienti in nuovi ambienti - un evento chiamato "naturalizzazione" - possono avere notevoli impatti negativi sugli ecosistemi locali, sulle economie e sulle società. Non tutte le specie vegetali aliene sono però ugualmente efficienti nell’invadere nuovi territori e habitat.

La ricerca descrive l’invasività delle specie vegetali utilizzando tre distinte dimensioni, valutate su scala continentale europea e su gran parte della flora sia aliena che nativa o autoctona: l’abbondanza locale, l’estensione geografica e l’ampiezza dell’habitat o ampiezza ecologica.

Tra le piante, gli invasori di maggior successo presentano valori elevati delle tre variabili analizzate. Le vicende storiche della loro introduzione giocano un ruolo importante nelle prestazioni lungo le tre dimensioni, così come alcune caratteristiche biologiche (traits): la precoce introduzione in Europa, l’origine completamente extra-europea e la rapida crescita sono caratteristiche comuni a molti "superinvasori".

Le piante aliene invasive sono tutte uguali? Gli esperti in ecologia riconoscono sempre più che il termine "invasivo" non indica una singola proprietà, ma che ci sono diverse caratteristiche della distribuzione di una specie che possono caratterizzarla come invasiva o meno.

Per saperne di più sui diversi modi in cui una pianta può diventare invasiva, gli autori dello studio hanno combinato ampi set di dati, come il database Global Naturalized Alien Flora (GloNAF), l’European Vegetation Archive (EVA) e anche il database TRY con i traits delle piante. Per l’analisi dei dati combinati, è stato adottato un quadro tridimensionale che era stato precedentemente utilizzato per descrivere la "rarità" delle specie vegetali autoctone, da parte di Deborah Rabinowitz già dagli anni ‘80.

Rabinowitz aveva avanzato l’idea che una pianta “comune” doveva essere una specie localmente molto abbondante, che copriva una vasta area geografica e che popolava molti habitat diversi. Accanto a questa forma di "frequenza" assoluta, esistono sette forme di rarità come combinazioni diverse di basse prestazioni lungo almeno una delle tre dimensioni (abbondanza, distribuzione geografica e habitat): ad esempio, una specie vegetale "rara" può avere un’elevata abbondanza locale, ma essere limitata ad una piccola area o crescere solo in un tipo di habitat specifico.

Il modello di Rabinowitz apre anche la possibilità di analizzare i vari tipi di "invasività" quando viene applicato a specie aliene, cosa molto importante perché diversi tipi di specie aliene invasive potrebbero richiedere diverse strategie di gestione per contrastarle.

Trevor Fristoe, primo autore dello studio, fornisce questo esempio: «Se una specie aliena inizia a dominare una comunità vegetale locale ma ha un basso potenziale di espandere la sua estensione geografica ed è specializzata in un certo tipo di habitat, gli sforzi di conservazione potrebbero concentrarsi sul controllo delle specie a livello locale piuttosto che prevenirne l’ulteriore diffusione».

Alieno, ma non così diverso: per le specie vegetali autoctone gli scienziati hanno precedentemente scoperto che le tre dimensioni della elevata frequenza non sono completamente indipendenti l’una dall’altra. Le specie che sono localmente abbondanti spesso tendono anche ad essere geograficamente diffuse e ad occupare una vasta gamma di habitat.

«Per le specie vegetali aliene, la nostra aspettativa era che queste dimensioni dovessero essere collegate proprio come lo sono nelle distribuzioni native. Dopo tutto, le piante aliene in un luogo sono piante autoctone da qualche altra parte»: così Fristoe descrive l’ipotesi iniziale dello studio. In effetti, i ricercatori hanno scoperto che le associazioni tra le tre dimensioni - abbondanza locale, estensione geografica e ampiezza dell’habitat - nelle specie aliene che hanno invaso l’Europa sono molto simili al modello trovato nella flora nativa europea: avere successo in una dimensione tende ad avere successo anche nelle altre. Questi parallelismi suggeriscono che gli stessi meccanismi biogeografici ed ecologici stanno plasmando la distribuzione nelle specie vegetali autoctone e aliene.

Driver del successo dell’invasione

Nonostante le analogie tra piante autoctone e invasive, c’è una differenza decisiva tra i due gruppi: a differenza delle specie vegetali autoctone, le specie invasive non si sono evolute negli habitat invasi, nei quali sono state introdotte solo di recente, dato che si sono evolute in altre parti d’Europa o anche in altri continenti. Da qui il secondo obiettivo dello studio: indipendentemente dal fatto che esistano associazioni generali tra le dimensioni dell’invasività, si volevano identificare i driver del successo in ciascuna delle dimensioni. Le vicende storiche delle introduzioni, insieme a fattori più ecologici o biologici, erano aspetti che dovevano essere considerati.

Gli scienziati hanno scoperto che le piante che eccellono in tutte e tre le dimensioni tendono a provenire da altri continenti, come l’Asia o le Americhe, mentre le piante introdotte da altre parti dell’Europa sono generalmente scarsi invasori. Inoltre, i superinvasori provenienti da fuori Europa hanno spesso proprietà biologiche che li aiutano a crescere rapidamente, al prezzo di meccanismi di difesa più deboli. Nel loro insieme, ciò fornisce il supporto per un’ipotesi chiamata «ipotesi di liberazione dal nemico», ossia che le specie invasive, quando invadono nuovi ambienti, si lasciano alle spalle molti degli agenti patogeni, degli erbivori e delle specie concorrenti con cui si sono evolute nei luoghi di origine, consentendo loro di crescere senza controllo.

Eccezioni alla regola

Il gruppo di ricerca ha anche trovato eccezioni al modello secondo cui le piante che hanno successo in una dimensione hanno successo anche nelle altre e hanno identificato le possibili ragioni per queste eccezioni. Ad esempio, più è recente la sua data di introduzione nei suoi nuovi ambienti, più è probabile che una pianta invasiva si discosti dalla regola. Sostanzialmente sono “nuove” e hanno ancora bisogno di tempo per bilanciare le condizioni.

Questo è abbastanza importante. Se trovi una pianta invasiva che ha successo solo in una delle dimensioni, ma anche nuova, c’è motivo di preoccuparsi: potrebbe avere successo nelle altre dimensioni in seguito. Pertanto, la struttura delle "dimensioni dell’invasività" non è solo uno strumento prezioso per spiegare gli attuali modelli di naturalizzazione e migliorare la nostra comprensione delle dinamiche di distribuzione delle specie in generale. “Può anche aiutare ad anticipare le invasioni future e a sviluppare strategie di gestione su misura per controllare meglio le specie di piante aliene invasive”, questa è la conclusione di Fristoe condivisa dall’intero gruppo di ricerca.

Lo studio ha ricevuto finanziamenti da: German Research Foundation (DFG), Czech Science Foundation (CACR) e Czech Academy of Sciences (CAS), Austrian Science Fund (FWF), Belmont Forum e BiodivERsA, Ministero federale tedesco dell’Istruzione e della ricerca (BMBF), il governo basco, la National Research Foundation of Korea (NRF) e il governo coreano (MSIT), l’Università della Lettonia e le Fondazioni Velux.

 

Ultima modifica: Martedì, 11 Luglio, 2023 - 18:12